“La speranza è l’ultima a morire, non è vero?”

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Domenica 25 febbraio 2024 al Teatro Ristori di Cividale si è svolta la celebrazione centrale della festa culturale slovena degli sloveni in Italia, organizzata da SKGZ e SSO. Il discorso centrale, che pubblichiamo in seguito, è stato tenuto dalla mag. Nina Pahor.

Nel VI secolo, gli slavi lasciarono la loro patria originaria nel bacino dei Carpazi settentrionali e migrarono verso est, sud e ovest. Nella storia, questo periodo è noto come “migrazione dei popoli”. La migrazione degli slavi avvenne sotto la guida degli avari e gli storici, insieme ai linguisti storici, ritengono che il ruolo degli slavi nelle conquiste degli avari fu così forte che la lingua slava, all’epoca ancora il protoslavo, l’antenato di tutte le lingue slave, si affermò come lingua franca dello stato degli avari.

Nella seconda metà del VI secolo, gli slavi avevano già colonizzato le Alpi orientali, la pianura pannonica e gran parte della penisola balcanica. L’insediamento dell’area alpina, cioè del successivo territorio sloveno, avvenne in due ondate: la prima ondata di slavi giunse in questo territorio dopo il 550 da nordest, dall’area degli slavi occidentali, attraverso le Alpi; la seconda ondata giunse nel successivo territorio sloveno un po’ più tardi, dopo il 585, da sudest, dall’area degli slavi meridionali, lungo il fiume Sava e i suoi affluenti.

La lingua slava era ancora relativamente unificata all’epoca della Dispersione e nell’800 aveva subito solo poche modifiche tardo-slave, che hanno portato alla nascita di tre sottogruppi di lingue slave, ciascuno nella propria area geografica: est, sud e ovest. Nel corso del Medioevo, nell’area delle Alpi orientali, dal protoslavo emerse gradualmente una lingua che in linguistica viene chiamata slavo meridionale alpino e poi sloveno alpino. Possiamo parlare dello sloveno come lingua indipendente e unificata dopo l’anno 1000, quando si verificarono i cambiamenti nella lingua che consideriamo le caratteristiche distintive dello sloveno. Dopo il 1200, la lingua slovena inizia a dialettizzarsi, a dividersi in dialetti. Questo fenomeno non è avvenuto da un giorno all’altro, naturalmente, ma gradualmente nel corso dei secoli. Il periodo che va dal XIV al XVII secolo viene definito dalla linguistica slovena come un periodo di accelerazione della dialettizzazione: durante questo periodo si sono formate le odierne otto basi dialettali della lingua slovena. Anche queste basi dialettali continuarono a loro volta a dividersi in dialetti e i dialetti si divisero in singole parlate locali.

La divisione in otto piani dialettali è quella utilizzata nella cosiddetta linguistica genealogica, la branca della linguistica che tiene conto dello sviluppo storico di una lingua. Nella linguistica tipologica, la branca della linguistica che prende in considerazione i fenomeni più recenti della lingua e quindi una divisione più moderna, dividiamo i dialetti sloveni in sette gruppi dialettali. Il criterio per la classificazione dei dialetti in gruppi dialettali non è più lo sviluppo storico, ma l’impressione uditiva, cioè come i singoli dialetti suonano all’orecchio dell’ascoltatore.

Ho deciso quindi di fare una breve presentazione dei dialetti sloveni locali. In questo lembo occidentale del territorio linguistico sloveno, che si trova in Italia, si parlano i seguenti dialetti, rispettivamente da nord a sud: il dialetto zegliano (slov. ziljsko narečje) nella Val Canale, il dialetto resiano (slov. rezijansko narečje) a Resia, il dialetto del Torre (slov. rezijansko narečje) nelle valli del Torre, il dialetto del Natisone (slov. nadiško narečje) nelle valli del Natisone, il dialetto del Collio (slov. briško narečje) nel Collio, il dialetto del Carso (slov. kraško narečje) nel Carso goriziano e nella parte del Carso triestino che si estende da Duino a Prosecco, il dialetto della Carniola Interna (slov. notranjsko narečje) da Prosecco a Basovizza, compresa Trieste, e il sottodialetto risano (slov. rižansko podnarečje) del dialetto istriano (slov. istrsko narečje) in Val Rosandra fino a Muggia. Dal punto di vista della linguistica tipologica, che tiene conto della moderna divisione in gruppi dialettali, il dialetto zegliano della Val Canale fa parte del gruppo dialettale della Carinzia (slov. koroška narečna skupina), mentre tutti gli altri dialetti citati fanno parte del gruppo dialettale del Litorale (slov. primorska narečna skupina). Dal punto di vista della linguistica genetica, che tiene conto dello sviluppo storico, i dialetti vengono così suddivisi per area dialettale: lo zegliano e il resiano fanno parte dell’area dello sloveno settentrionale o carinziano; il dialetto del Torre, il dialetto del Natisone, il dialetto del Collio e il dialetto del Carso fanno parte dello sloveno occidentale e rientrano nella cosiddetta area dialettale veneto-carsica; i dialetti della Carniola Interna e dell’Istria fanno storicamente parte dello sloveno meridionale e dell’area dialettale della Bassa Carniola.

Sono cresciuta a Duino in una famiglia slovena. Parlavo e parlo tuttora lo sloveno con i miei genitori, nonni, sorelle e cugini. Ho frequentato la scuola elementare a Duino con lingua di insegnamento slovena, la scuola media con lingua di insegnamento slovena ad Aurisina e poi mi sono diplomata al Liceo Classico France Prešeren di Trieste. Una volta terminata la scuola, le possibilità di proseguire gli studi in lingua slovena da noi si erano esaurite. Volevo studiare ancora lo sloveno: ero molto interessato alla nostra lingua e soprattutto alla sua storia. Ho deciso di proseguire i miei studi universitari a Lubiana perché ritenevo che il programma di studi per la lingua slovena sarebbe stato molto più completo nel paese dove lo sloveno è una disciplina nazionale, piuttosto che in Italia dove lo sloveno all’università è più che altro una lingua “straniera”. A Lubiana ho concluso i miei studi in slovenistica, linguistica slava comparata e linguistica comparata (indoeuropea). Ora, mentre scrivo la mia tesi di dottorato, lavoro presso l’Istituto per la lingua slovena Fran Ramovš del Centro di ricerche scientifiche SAZU, nella Sezione di dialettologia. Ripensando al mio percorso, devo ammettere, a me stessa e a tutti i presenti, che non sarei certamente riuscita in questa impresa di vita se non fossi stata educata nella mia lingua madre.

E questo ci porta al tema a cui vorrei dedicare il mio intervento di oggi. Mentre pensavo a ciò che avrei scritto, ho pensato a ciò che una donna slovena di Trieste, più legata a Gorizia in termini di origine e cultura, potrebbe dire ai suoi fratelli qui in Benecia. Avrei potuto continuare a parlare delle origini della lingua slovena, della cultura slovena, della coscienza nazionale slovena, delle usanze popolari, dell’economia degli sloveni in Italia. Ma no, ho deciso di concentrarmi su un argomento così urgente e pressante che, senza di esso, tutte le ulteriori discussioni e i discorsi sulla cultura slovena, sull’appartenenza nazionale e sull’economia saranno un giorno vani. Parlerò della scuola e dell’istruzione.

Se esaminiamo la realtà che sta vivendo l’istruzione in lingua slovena, sia l’insegnamento della lingua slovena che l’insegnamento in lingua slovena a Trieste, Gorizia e soprattutto a Udine ci mostra che il problema più grande che dobbiamo affrontare è la mancanza di posti di lavoro a pieno titolo per gli insegnanti di lingua slovena. Credo che sia urgente iniziare a lavorare fin da ora per porre rimedio a questa situazione. E questa deve essere la nostra priorità. Dobbiamo fare pressione sul sistema scolastico italiano, attraverso i diritti di cui godiamo nell’ambito dell’autonomia regionale, per creare posti per insegnanti di sloveno, in modo che lo sloveno possa essere insegnato sistematicamente come lingua locale in tutte le scuole italiane, all’interno del territorio di tutela ai sensi della Legge 38/2001, e che, se possibile, in Val Canale e nelle valli del Torre venga istituito un modello di scuola bilingue in almeno una delle scuole di ciascuna valle, in modo che tutto il nostro territorio possa offrire l’istruzione in lingua slovena a chi lo desidera.

Nel VI secolo, gli Slavi lasciarono la loro protopatria nel bacino dei Carpazi settentrionali e migrarono verso est, sud e ovest. Nella storia, questo periodo è noto come “migrazione dei popoli”. È triste pensare che alcuni dei nostri figli non ne sentiranno mai parlare, perché frequenteranno solo le scuole italiane e a scuola verranno loro insegnate solo le invasioni barbariche. Ed è ancora più triste che la maggior parte di loro non sarà nemmeno consapevole che questi barbari che hanno invaso il glorioso Impero Romano sono, in realtà, loro stessi o i loro antenati.

Se ci rimbocchiamo le maniche ora, se entriamo in azione ora, se iniziamo a lavorare con azioni concrete per stabilire l’istruzione slovena dove ancora non esiste, tra 25 anni un giovane di Lusevera, di Ugovizza o perfino di Stolvizza potrebbe essere qui al posto mio. Forse ci esprimerà pubblicamente la sua gratitudine per la vostra lungimiranza, per il fatto che 25 anni fa non vi siete arresi, non vi siete accontentati dello status quo, ma avete reso possibile a lui e a molti altri di poter parlare in sloveno su questo palco. Se non facciamo nulla ora, tra 25 anni conteremo letteralmente gli ultimi parlanti sulle dita di due mani, forse.

Mi viene in mente una citazione della Bibbia, ovvero il Vangelo di Matteo, capitolo 18, versetto 19: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà”. Questa citazione mi dà sempre una grande speranza. Tra gli otto miliardi di persone nel mondo, ci sarà sicuramente qualcuno da qualche parte che, nello stesso momento, esprime la stessa richiesta, lo stesso desiderio che ho anch’io. Mi dà la speranza di non essere sola, che c’è qualcun altro al mondo che prova i miei stessi sentimenti. E oggi voglio credere che la maggioranza di voi in questa sala provi quello che provo io. Che la maggior parte di voi sia immensamente addolorata per la situazione in cui si trova la nostra comunità nazionale, in particolare gli sloveni della provincia di Udine, e che la maggior parte di voi abbia il mio stesso desiderio che si possa fare qualcosa e la speranza che qualcosa si possa fare al più presto. Quando gli ultimi parlanti e gli ultimi sloveni moriranno nei nostri villaggi, morirà anche la speranza. La speranza è l’ultima a morire, non è vero?